ANGELO RUGGERI
INTERVIEW
La prima volta che ha incontrato Elton John, a cena nella sua casa di Londra, gli ha detto con disarmante sincerità: «Ho iniziato a suonare il pianoforte grazie alle tue canzoni, che mi ha fatto conoscere mio padre». Elton non ha detto una parola: lo ha semplicemente abbracciato, forte. Poco dopo, Victoria Beckham gli confida ridendo durante una sfilata: «Ma i giornalisti italiani sono tutti simpatici come te?» – dopo cinque minuti di risate ininterrotte. Con Stella McCartney è in ottimi rapporti. Una sera lei gli presenta Stan Smith – sì, il tennista, non la scarpa Adidas. E quando un volo da Londra per Milano rimane bloccato, è Tommy Hilfiger in persona a trovargli un passaggio in aereo: “Doveva tenere una lezione ai suoi studenti”, racconta sorridendo.
Angelo Ruggeri è così: un vulcano. Giornalista, professore, consulente, comunicatore a tutto tondo. «Al liceo Calini di Brescia ho capito che la mia strada era la comunicazione e le pubbliche relazioni. Da allora non mi sono più fermato», racconta. E nella corsa, ha intrecciato un’altra sua grande passione: la moda.
Per te la moda è… Arte, senza compromessi. Come il design, la pittura o la scultura. La moda è la traduzione visiva di un’idea. Ti scuote, nel bene o nel male, perché genera emozioni vere. E sì, è un mondo esclusivo, non per tutti. Chi la riduce a una questione di estetica o mercato non ha capito la sua profondità. Dietro un abito c’è molto di più: cultura, visione, identità.
Un sogno realizzato? Intervistare e poi conoscere Giorgio Armani nel backstage della sfilata di Emporio Armani a Londra. «Mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: “Sei molto giovane per essere un giornalista di moda. Vuol dire che sei bravo”».
E un sogno ancora da realizzare? «Intervistare Hedi Slimane. Lo adoro da sempre. È un genio riservato, raramente concede interviste. Ma non smetto di sperarci».
Brescia e la moda: storia di un amore complicato. «Non direi difficile, direi complesso. Brescia è più piccola, più lenta rispetto a Milano. Le tendenze arrivano tardi, e ancora più tardi vengono comprese. Ma ci sono boutique straordinarie, amiche, realtà che amo. Bisogna solo osare un po’ di più…».
Come renderesti Brescia più “fashion”? «Semplice: creando dialogo. Oggi manca comunicazione tra le boutique. Eppure hanno lo stesso obiettivo. Dovrebbero parlarsi, confrontarsi, capire insieme come si stanno evolvendo i consumatori – che sono cambiati tantissimo. Il mio sogno? Una sorta di Camera della Moda Bresciana, che unisca negozi, eventi, cultura. Perché la moda non è solo business: è cultura viva».
Ispirazioni dal passato? «Truman Capote. Durante il mio primo stage, il direttore mi regalò Musica per camaleonti. Quel libro mi ha insegnato il valore della scrittura e mi ha fatto capire che il mio posto era nel mondo dell’editoria».
Cosa non deve mai mancare nel tuo guardaroba? «Un blazer nero perfetto. È come una seconda pelle: puoi metterlo su jeans, t-shirt o camicia bianca e sei sempre a posto. E poi un paio di occhiali da sole importanti: dicono molto, anche quando non parli».
Il tuo rituale prima di un’intervista importante? «Ascolto musica. Sempre. Dipende dal mood: David Bowie se voglio energia, Lana Del Rey se devo entrare in un’atmosfera più intima. Mi serve per centrarmi, per creare la connessione giusta con la persona che ho davanti».
Un consiglio per chi sogna di lavorare nella moda o nella comunicazione? «Studiate, osservate, siate curiosi. Non basta avere gusto o saper scrivere bene. Serve cultura, disciplina e un punto di vista autentico. E ricordate: la gentilezza e l’umiltà aprono più porte di qualsiasi biglietto da visita».
Cosa ti fa sentire “davvero vivo”? «Quando vedo i miei studenti appassionarsi. Quando mi trovo davanti a un artista e percepisco la sua energia. Quando capisco che, anche solo con una parola o un’idea, posso ispirare qualcuno. Questo è il mio carburante quotidiano».